“…Scrivere oggi di una fucilazione eseguita all’alba del I° Luglio del 1916 potrebbe sembrare anacronistico e forse un’inutile perdita di tempo. Ciò sarebbe vero se noi ci reputassimo degli storici o degli studiosi della prima guerra mondiale e prima di affrontare l’argomento ci dovessimo affidare a pagine e pagine di prefazione.
da Un Alplno scomodo – cjargne online
Ma noi non siamo storici, siamo soltanto testimoni di una storia per certi versi antica (appresa dai nostri nonni e bisnonni) e per certi versi nuova (con alcuni importanti dettagli recentissimi): la storia dell’Alpino Silvio Ortis giustiziato assieme ad altri tre compagni di sventura con l’infamante accusa di diserzione…”
– Giugno 1916, Fronte Orientale, confine tra Italia e Impero Austro Ungarico –
Un battaglione di Alpini, già valorosamente impegnato sulle alture del Monte Coglians, venne inviato al fronte per conquistare il Monte Cellon (2238 m nei pressi del passo di Monte Croce Carnico), nel cuore delle Alpi Carniche. Diversi di questi Alpini erano originari delle stesse zone del Friuli in cui si stava combattendo. Conoscevano bene i luoghi e le insidie del territorio in cui si muovevano. Conoscevano a volte la lingua del “nemico” (in qualche caso meglio dell’italiano), e in tempo di pace forse avevano conosciuto anche personalmente alcuni di coloro che ora indossavano la divisa nemica: vicini di casa, compagni di lavoro, forse amici, magari anche parenti, come spesso accade tra la gente che vive nelle aree di frontiera.
Tutto questo non faceva che alimentare la diffidenza dei comandanti militari (provenienti da altre zone d’Italia) nei confronti di questi giovani montanari che parlavano un dialetto così ostico, e che forse non mostravano nemmeno un’eccessiva ostilità nei confronti del nemico.
L’ordine del Comando era perentorio: prendere d’assalto le postazioni di artiglieria occupate dall’esercito austro-ungarico sulla cima est del Monte Cellon a quota 2200 m.
Il 23 giugno 1916 il Capitano Armando Ciofi, comandante della 109^ compagnia alpina, VII° reggimento, Battaglione Monte Arvenis, ordinò l’attacco per i giorni immediatamente successivi.
Doveva essere un “attacco frontale”: fuori in massa dalle trincee, allo scoperto, sotto il fuoco nemico senza la minima considerazione delle perdite, inevitabilmente molto elevate.
Gli Alpini carnici, appostati a quota 2000 m, conoscevano bene il Cellon con la sua parete liscia e brulla, priva di coperture: una salita disagevole, anche con armi leggere, da compiersi sotto lo spietato fuoco di un nemico ben appostato in trincee e gallerie.
Un vero atto suicida. Sembra che nel mese di marzo dello stesso anno un attacco simile avesse già provocato diverse centinaia di morti.
Non rifiutarono a priori l’ordine impartito, ma cercarono, inutilmente, di discuterlo spiegando il prevedibile elevato costo umano della tattica scelta e protestando, apertamente ed animosamente, nelle baracche. Da conoscitori dei luoghi proposero anche una modalità alternativa d’attacco, cioè salire per un canalone laterale con il favore della nebbia e con l’appoggio dell’artiglieria.
La risposta del “Comando” volle essere esemplare e durissima: nei loro confronti vennero emesse accuse pesantissime di “rivolta e rifiuto di obbedienza in presenza del nemico”.
Furono arrestati in 80 (secondo alcune fonti addirittura a seguito di un semplice “sorteggio”…) e vennero condotti nel paesino di Cercivento dove il 30 giugno 1916, all’interno della chiesa di San Martino sconsacrata per l’occasione e trasformata in tribunale, si svolse un breve processo conclusosi il 1 luglio 1916 alle 2:30 del mattino con la lettura della sentenza: 29 condannati a vari anni di galera, 4 condannati alla pena della fucilazione immediata in quanto “ritenuti” capi della rivolta.
La fucilazione venne eseguita all’alba dello stesso giorno, alle 4:30, nei pressi del piccolo cimitero di Cercivento da parte dei regi carabinieri in quanto gli Alpini della 109^ si rifiutarono di comporre il plotone d’esecuzione.
Il Cellon verrà in seguito conquistato impiegando la strategia suggerita dagli alpini.
Molti anni dopo, negli anni novanta, Mario Flora, nipote di uno dei 4 fucilati, lanciò una campagna di stampa per ottenere la revisione del processo e della relativa sentenza, chiedendo di derubricare l’accusa da “rivolta” in “ammutinamento”, e ottenere in seguito la loro riabilitazione.
Dopo una lunga battaglia legale riuscì a superare anche un assurdo cavillo: quello per cui l’ordinamento militare consente unicamente al condannato di poter presentare ricorso alla sentenza.
Fu quindi il Ministro della Difesa, in qualità di supplente, a presentare il 6 novembre 2009 istanza di revisione presso la corte militare d’appello in favore degli alpini fucilati “con disonore”. Purtroppo, tutta la documentazione presentata per la revisione venne derubricata dai giudici ad un “insieme di pubblicazioni di carattere storico e letterario” nelle quali veniva solo prospettata una diversa ricostruzione dei fatti. Anche le dichiarazioni raccolte nel 1971, provenienti da persone che potevano fornire informazioni apprese direttamente, vennero considerate generiche e prive di valore perché non verbalizzate a suo tempo dall’autorità giudiziaria o dalla polizia giudiziaria.
Il procuratore generale Ferrante sentenziò dunque che non vi erano nuove prove concrete che, insieme a quelle già valutate all’epoca, potessero portare al proscioglimento dei condannati. Il 15/03/2010 la condanna venne riconfermata e l’istanza del ministro dichiarata inammissibile.
A distanza ormai di un secolo, dunque, i quattro alpini di Cercivento non erano stati liberati dalle accuse che li costrinsero all’oblìo ufficiale, né lo sono davvero tutt’ora**.
Ma oggi, grazie ad una parte della società civile, un cippo posto sul luogo della loro fucilazione ci ricorda ancora, e per sempre, queste giovani vite spezzate.
I loro nomi erano:
Ortis Gaetano Silvio (Paluzza, UD)
Matiz Basilio (Timau, UD)
Massaro Angelo Primo (Maniago, UD)
Coradazzi G.Battista (Forni di Sopra, UD)
** Aggiornamento: nel maggio del 2021 la Regione Friuli ha deciso con una propria legge regionale di riabilitare non solo i 4 alpini ma anche tutti i soldati nati o caduti nel suo attuale territorio appartenenti alle Forze armate italiane che, nel corso del primo conflitto mondiale, vennero fucilati con sentenze emesse da tribunali militari di guerra, anche se straordinari. (il FVG restituisce l’onore ai fucilati della Grande Guerra)
CERCIVENTO – Una storia che va raccontata – Grande Guerra nel Friuli Venezia Giulia (2019), un documentario realizzato dall’Ufficio stampa e comunicazione della Regione Friuli Venezia Giulia – Agenzia Regione Cronache in collaborazione con il Comune di Cercivento per la regia di Giorgio Gregorio e la sceneggiatura di Luciano Santin, con la partecipazione di Massimo Somaglino e Riccardo Maranzana.
“…andate a Cercivento, non c’è un mausoleo marmoreo, non c’è un museo retorico con aerei sul soffitto, foto di generaloni grondanti medaglie, elmetti forati, cannoni, fucili, baionette e bombe a mano. Troverete solo un piccolo cippo e una lapide in ricordo di quattro ragazzi ingiustamente fucilati…”
da “I Fucilati di Cercivento” – larucola.org
Foto in header: proprietà del CAI Sezione di Pordenone gruppo con Monte Cellon